28.12.20

CAMALDOLI

 


Con Camaldoli si intende l’eremo, il monastero e la montagna su cui sorgono entrambi, all'interno del parco delle foreste casentinesi.

L’eremo fu fondato da San Romualdo circa nel 1012 in un radura detta Campo di Maldolo, probabilmente dal nome del proprietario dei terreni. Tra le celle visitabili è visibile quella di San Romualdo. 






 La foresteria,  3 km circa sotto l’eremo, nata come ospizio, nel locale eretto da San Romualdo per gli ospiti e i pellegrini fu trasformata successivamente in monastero.

Il monastero era chiamato anticamente Fonte-Bono per le abbondanti acque da cui è circondato, provenienti dalla catena appenninica che divide la Romagna dal Casentino. Si trova proprio sopra il fosso di Camaldoli sul quale sorgeva un’antica segheria. 

Una parte di esso era riservata ai malati, solo maschili,  portati dai paesi vicini e che venivano curati dai monaci fino alla completa guarigione. Fu istituita anche una farmacia dove il monaco speziale preparava le medicine e fino a pochi anni fa si potevano ammirare i vecchi utensili e vecchi libri e ricettari. 


 Centro di ritrovo per gli umanisti del ‘500, albergo e centro culturale in epoca moderna, la foresteria ospita innumerevoli convegni e gruppi culturali. Circondata dalla magnifica foresta è luogo di partenza per le innumerevoli escursioni che portano a conoscere tutta la montagna circostante. 

 La chiesa, a lato della foresteria, è stata distrutta e ricostruita più volte. Al suo interno si trovano  pregevoli opere tra cui alcuni dipinti del Vasari.                                                                                                                   


LA FORESTA

La foresta di Camaldoli è una delle 149 riserve naturali e foreste demaniali del Raggruppamento Carabinieri per la Biodiversità ed è inserita nel complesso delle Riserve Naturali Biogenetiche Casentinesi gestite dal Reparto Carabinieri Biodiversità di Pratovecchio 

   https://it.wikipedia.org/wiki/Riserva_naturale_Camaldoli           https://www.parcoforestecasentinesi.it/it













 


    







                                           

 


6.12.20

Eremo di San Viviano e Roccandagia - Apuane

Da Campocatino (1010m.), antico alpeggio dai caratteristici "caselli", costruzioni a due piani che ospitavano i pastori e i loro animali, si raggiunge in breve tempo, mantenendo sulla destra l'imponente parete del Monte Roccandagia (1717m.), l'Eremo di San Viviano (o Viano). Si tratta di una cappella d'abri, ovvero sotto la roccia, già documentata in una visita pastorale risalente al 1568. La leggenda popolare ci racconta che Viviano fosse di origine reggiana, amante della natura (in zona crescono  cavoli selvatici chiamati appunto "cavoli di San Viviano", di cui si narra egli si nutrisse abbondantemente) e che abbia sempre condotto una vita umile, dapprima lavorando la terra, poi ritirandosi a vivere in solitudine; è inoltre considerato protettore dei cavatori di marmo.

Tornando sui nostri passi è possibile raggiungere la sovrastante vetta del Monte Roccandagia. La via escursionistica senza particolari difficoltà inizia infatti da Campocatino e segue il sentiero numero CAI 177; in alternativa possiamo raggiungere la cresta seguendo appunto il "canale di San Viviano", percorso non segnato il cui inizio si trova proseguendo lungo il sentiero CAI 147 (lo stesso che abbiamo seguito per raggiungere l'eremo) e che presenta alcuni impegnativi passaggi su roccia (difficoltà EE+/PD), quindi da intraprendere con cautela. 











24.11.20

VALLOMBROSA

     Riserva naturale biogenetica, è la montagna più vicina a Firenze ed è meta di escursionisti e appassionati.

Al suo centro l’abbazia fondata su un oratorio in legno che ospitò Giovanni Gualberto, nobile fiorentino che dopo varie vicissitudini decise di ritirarsi in solitudine.

Nel 1036 Giovanni giunse Vallombrosa, allora chiamata Acquabella o Acquabona, dove trovò 2 eremiti, Paolo e Guntelmo e anche lui si stabilì qui dando vita alla Comunità monastica dei Vallombrosani. L’Abbazia nel corso dei secoli divenne famosa e potente e fu visitata da artisti e scrittori.


     E’ citata da Ludovico Ariosto nell’Orlando Furioso XXII canto:

Per battezzarsi dunque, indi per sposa
la donna aver, Ruggier si messe in via,
guidando Bradamante a Vallombrosa
(così fu nominata una badia
ricca e bella, né men religiosa,
e cortese a chiunque vi venìa);
e trovaro all’uscir de la foresta
donna che molto era nel viso mesta.

 L'ingresso all'Abbazia 


              John Milton, consigliato di andare a Vallombrosa da Galileo che visitò ad Arcetri, vi ha                              trovato ispirazione per la sua opera "PARADISO PERDUTO".                              

               Il Paradisino, a suo tempo romitorio, dove dormì Milton, con la targa che lo ricorda.  

                                              

                        

Oltre a lui numerosi scrittori hanno visitato la località, tra cui Henry James nel 1890 che descrive Vallombrosa in una sua lettera al fratello; Vernon Lee che si dilunga dettagliatamente inThe tower of the mirrors” edizione Tauchnitz. La scrittrice Edith Wharton in "Italian Backgrounds scrive: 

"Sui pendii intorno al monastero correva la pennellata rosa purpurea dei crochi con qui e là in macchie sparse, ben distaccate dall’erba come nei primi piani di Mantegna e Botticelli, ma così fitte da formare uno strato di colore senza interruzioni, una marea lilla che sommergeva l’erba e, scorrendo tra le antiche nicchie degli alberi, invadeva anche i recessi più scuri della foresta."

La vista verso la vallata di Firenze

Gabriele D’Annunzio ha soggiornato in hotel nella località adiacente, Il Saltino, nel 1908 :

ma la Vallombrosa remota
è tutta di violette
divina, apparita in un valco
che tra due colli s’insena
ah sì dolce alla vista
che tepido pare e segreto
come l’inguine della Donna
terrestra qui forse dormente,
onde quest’anelito esala.

Il fascino di Vallombrosa, non è solo nella 
 spiritualità: la sua bellezza e magnificenza è nei boschi, nei ruscelli, nei suoi sentieri.
















21.11.20

MONTE GIOVI

 

È una dei principali territori di media montagna che separano la valle della Sieve dal Val d'Arno sopra Firenze, la cima è a mt 992, coperta da boschi di castagni e faggi.

E’chiamata la montagna dei “Ribelli”, a causa dei gruppi di partigiani che trovarono rifugio nella montagna da cui potevano controllare il territorio circostante.

Per questo,sul Monte Giovi è stato istituito un parco dedicato alla guerra di liberazione chiamato “Parco culturale della Memoria”. Lungo i sentieri e all’interno del bosco sono stati installati pannelli che commemorano personaggi sconosciuti ma significativi della resistenza locale e fiorentina.

L’origine del nome si presta a differenti interpretazioni. Può riferirisi al Monte di Giove, il Dio supremo della mitologia romana, o, come ci dice il Repetti, molte montuosità della Toscana, e fuori di Toscana che si distinguono con i nomi di Monte Giove, Monte Giovi, del Giogo, o del Giovo, significano vertice, o crine dei monti, da cui per metafora giogo e in qualche località giovo.

            

 In cammino verso la montagna


                         In località Tamburino, prima di arrivare al Monte Giovi, si trova un laghetto


I pannelli lungo i sentieri e nel bosco




                                                                    I monumenti ai partigiani











10.11.20

LE BURRAIE di SANTA BRIGIDA



L'acqua scorre da un condotto in un primo bacino, poi attraverso un altro bacino che sfocia in un condotto esterno. All'interno degli edifici c'erano le cisterne, nelle quali venivano inseriti i contenitori di latte. A causa della bassa temperatura la crema si addensava sulle superficie.

Le burraie erano anche usate per conservare le caciotte e i pani di burro già fatti.

A monte del paese di Santa Brigida, queste strutture sono state restaurate e il “Sentiero delle burraie”consente di visitarle con una piacevole passeggiata.


   



2.9.20

TRAVALLE

TRAVALLE,

vallata tra Calenzano e Prato ai piedi del monte della Calvana.

Sia la villa principale che le vecchie case di contadini sono state 

restaurate negli ultimi anni ma si può notare come la vallata, 

confinante da una parte con la Calvana e dall'altra con il torrente 

Marinella, è sempre stata lussureggiante nelle sue coltivazioni e abitata 

da numerose famiglie.

Gli ex vecchi casolari, eretti su mura medievali, sono collegati tra loro 

da una serie di strade sterrate e sentieri che, tra i campi, 

si inoltrano fino verso il massiccio della Calvana.




La presenza della chiesetta di S. Maria a Travalle, che domina tutta la 

vallata, è documentata fin dal 1209 ed è raggiungibile tramite una 

piccola salita proprio davanti alla villa/fattoria padronale, edificata dagli 

Strozzi nel XV secolo, probabilmente sopra una villa romana. 






Numerosi tabernacoli e edicole sacre si trovano lungo le stradelle, 

 che si presume sono stati edificati dalla popolazione del luogo sia a 

protezione dei raccolti sia come segnali di incroci. 

 







ALTRE IMMAGINI DA TRAVALLE