24.11.20

VALLOMBROSA

     Riserva naturale biogenetica, è la montagna più vicina a Firenze ed è meta di escursionisti e appassionati.

Al suo centro l’abbazia fondata su un oratorio in legno che ospitò Giovanni Gualberto, nobile fiorentino che dopo varie vicissitudini decise di ritirarsi in solitudine.

Nel 1036 Giovanni giunse Vallombrosa, allora chiamata Acquabella o Acquabona, dove trovò 2 eremiti, Paolo e Guntelmo e anche lui si stabilì qui dando vita alla Comunità monastica dei Vallombrosani. L’Abbazia nel corso dei secoli divenne famosa e potente e fu visitata da artisti e scrittori.


     E’ citata da Ludovico Ariosto nell’Orlando Furioso XXII canto:

Per battezzarsi dunque, indi per sposa
la donna aver, Ruggier si messe in via,
guidando Bradamante a Vallombrosa
(così fu nominata una badia
ricca e bella, né men religiosa,
e cortese a chiunque vi venìa);
e trovaro all’uscir de la foresta
donna che molto era nel viso mesta.

 L'ingresso all'Abbazia 


              John Milton, consigliato di andare a Vallombrosa da Galileo che visitò ad Arcetri, vi ha                              trovato ispirazione per la sua opera "PARADISO PERDUTO".                              

               Il Paradisino, a suo tempo romitorio, dove dormì Milton, con la targa che lo ricorda.  

                                              

                        

Oltre a lui numerosi scrittori hanno visitato la località, tra cui Henry James nel 1890 che descrive Vallombrosa in una sua lettera al fratello; Vernon Lee che si dilunga dettagliatamente inThe tower of the mirrors” edizione Tauchnitz. La scrittrice Edith Wharton in "Italian Backgrounds scrive: 

"Sui pendii intorno al monastero correva la pennellata rosa purpurea dei crochi con qui e là in macchie sparse, ben distaccate dall’erba come nei primi piani di Mantegna e Botticelli, ma così fitte da formare uno strato di colore senza interruzioni, una marea lilla che sommergeva l’erba e, scorrendo tra le antiche nicchie degli alberi, invadeva anche i recessi più scuri della foresta."

La vista verso la vallata di Firenze

Gabriele D’Annunzio ha soggiornato in hotel nella località adiacente, Il Saltino, nel 1908 :

ma la Vallombrosa remota
è tutta di violette
divina, apparita in un valco
che tra due colli s’insena
ah sì dolce alla vista
che tepido pare e segreto
come l’inguine della Donna
terrestra qui forse dormente,
onde quest’anelito esala.

Il fascino di Vallombrosa, non è solo nella 
 spiritualità: la sua bellezza e magnificenza è nei boschi, nei ruscelli, nei suoi sentieri.
















21.11.20

MONTE GIOVI

 

È una dei principali territori di media montagna che separano la valle della Sieve dal Val d'Arno sopra Firenze, la cima è a mt 992, coperta da boschi di castagni e faggi.

E’chiamata la montagna dei “Ribelli”, a causa dei gruppi di partigiani che trovarono rifugio nella montagna da cui potevano controllare il territorio circostante.

Per questo,sul Monte Giovi è stato istituito un parco dedicato alla guerra di liberazione chiamato “Parco culturale della Memoria”. Lungo i sentieri e all’interno del bosco sono stati installati pannelli che commemorano personaggi sconosciuti ma significativi della resistenza locale e fiorentina.

L’origine del nome si presta a differenti interpretazioni. Può riferirisi al Monte di Giove, il Dio supremo della mitologia romana, o, come ci dice il Repetti, molte montuosità della Toscana, e fuori di Toscana che si distinguono con i nomi di Monte Giove, Monte Giovi, del Giogo, o del Giovo, significano vertice, o crine dei monti, da cui per metafora giogo e in qualche località giovo.

            

 In cammino verso la montagna


                         In località Tamburino, prima di arrivare al Monte Giovi, si trova un laghetto


I pannelli lungo i sentieri e nel bosco




                                                                    I monumenti ai partigiani











10.11.20

LE BURRAIE di SANTA BRIGIDA



L'acqua scorre da un condotto in un primo bacino, poi attraverso un altro bacino che sfocia in un condotto esterno. All'interno degli edifici c'erano le cisterne, nelle quali venivano inseriti i contenitori di latte. A causa della bassa temperatura la crema si addensava sulle superficie.

Le burraie erano anche usate per conservare le caciotte e i pani di burro già fatti.

A monte del paese di Santa Brigida, queste strutture sono state restaurate e il “Sentiero delle burraie”consente di visitarle con una piacevole passeggiata.


   



2.9.20

TRAVALLE

TRAVALLE,

vallata tra Calenzano e Prato ai piedi del monte della Calvana.

Sia la villa principale che le vecchie case di contadini sono state 

restaurate negli ultimi anni ma si può notare come la vallata, 

confinante da una parte con la Calvana e dall'altra con il torrente 

Marinella, è sempre stata lussureggiante nelle sue coltivazioni e abitata 

da numerose famiglie.

Gli ex vecchi casolari, eretti su mura medievali, sono collegati tra loro 

da una serie di strade sterrate e sentieri che, tra i campi, 

si inoltrano fino verso il massiccio della Calvana.




La presenza della chiesetta di S. Maria a Travalle, che domina tutta la 

vallata, è documentata fin dal 1209 ed è raggiungibile tramite una 

piccola salita proprio davanti alla villa/fattoria padronale, edificata dagli 

Strozzi nel XV secolo, probabilmente sopra una villa romana. 






Numerosi tabernacoli e edicole sacre si trovano lungo le stradelle, 

 che si presume sono stati edificati dalla popolazione del luogo sia a 

protezione dei raccolti sia come segnali di incroci. 

 







ALTRE IMMAGINI DA TRAVALLE












10.8.20

NOTE DAL SENTIERO



Il viandante audace è colui che assapora quella magnificenza spirituale percepita solo da chi percorre i sentieri delle colline toscane senza scuole di pensiero in testa e senza mappe in tasca.
Toscana dai cortei di solenni cipressi, ulivi contorti, succose ciliegie inviolabili, fichi incolti, viti selvatiche assopite sulle siepi.
E all'imbrunire, lentamente il profondo clamore delle campane della chiesa svanisce e dal bosco si levano le note inquietanti delle creature notturne.





1.8.20

ROMENA - Casentino



Il Castello di Romena nella descrizione della viaggiatrice e scrittrice inglese Ella Noyes, (“The Casentino and Its Story” 1905) che nei primi anni del ‘900 ha attraversato il Casentino a cavallo con sua sorella pittrice:

"Di tutte le roccaforti del Casentino, Romena ha l'aspetto più tragico. Le torri, colpite dalle avversità, sollevandosi sopra le terrazze aride che circondano la collina sottostante, sembrano narrare non del lento decadimento del tempo, ma di qualche improvvisa distruzione caduta su di loro per i loro peccati.

È come se il calore dei fuochi illeciti in cui Mastro Adamo ha coniato i falsi fiorini per i Conti Guidi avesse bruciato le pietre del castello.

Nei giorni di tempesta, le nuvole che rotolano, sono lanciate dal riflesso di un luccichio invisibile sconosciuto e nel crepuscolo serale, quando il cielo si accelera in una bellezza di rosa, e le colline ad est sono calde e dorate, Romena diventa scura, solitaria; le torri imbronciate riflettono appena lo splendore occidentale e non illuminate da alcun raggio di candela all'interno. "

Dante Alighieri, durante il suo esilio avrebbe soggiornato al castello e si riferisce specificamente a Romena nel canto XXX della Divina Commedia quando fa parlare Mastro Adamo il falsificatore delle monete d’oro. Si ritiene che proprio a Romena il poeta abbia preso ispirazione per l’Inferno osservando i carcerati che con la pena maggiore venivano calati più in basso possibile. 









OMOMORTO a ROMENA




Il Castello di Romena porta con sé un sinistro promemoria dantesco. 
Sulla strada della Consuma in direzione di Poppi incontriamo un podere, si trova in alto a sinistra: davanti di alzano degli arbusti attorcigliati. Si chiama Uom Morto, o Omomorto. Se si sale dietro la casa, si arriva sulle tracce della vecchia via e seguendola per circa un chilometro si incontra un altro sentiero in direzione di Stia: qui troviamo un mucchio di pietre, la Macia dell'Uom Morto. Si dice che questo monumento rozzo segni il punto in cui un criminale fu giustiziato.
Ogni passante, o per compassione o per qualche sentimento religioso, o forse per una superstizione che allontani la sfortuna malvagia, lanciava una pietra sul mucchio. Il morto, così commemorato sulla solitaria collina, ha trovato un'altra immortalità. Egli altro non era che Mastro Adamo, il falsificatore di Romena.  (Dante Alighieri, Divina Commedia Inferno XXX, vv. 46-90). Le pietre sono ancora visibili. I contadini raccontano che i loro nonni hanno sentito tutto questo da altro generazioni. 




29.6.20

PRATOMAGNO



    Il Pratomangno, dal punto di vista geologico, ha avuto origine nel periodo oligocenico fra i 35 e 23 milioni di anni fa. Costituisce il crinale spartiacque tra la vallata del Casentino e il Valdarno superiore.
Sulla vetta più alta, di mt. 1592 s.l.m. è stata posta nel 1928 una croce in ferro alta oltre 20 metri che domina tutta la montagna ed è visibile anche dalle montagne che circondano le due vallate adiacenti.
Oltre alla croce, sulla cima della montagna, una lapide commemorativa ricorda il pilota australiano Herbert John Louis Hinkler che qui si schiantò durante un tentativo di viaggio dall'Inghilterra all'Australia. Il grande prato che delimita in alto il massiccio, può essere facilmente percorso in cresta tramite sentieri che attraversano pascoli con animali allo stato brado e che si snodano tra salite e discese circondati dalla magnificenza delle vallate e montagne all'orizzonte. Costituiva il passaggio per la transumanza degli animali che dal piccolo borgo di Raggiolo in Casentino attraversavano la montagna verso Loro Ciuffenna in Valdarno per recarsi in Maremma.
Secondo la leggenda potrebbe esserci passato anche Annibale con le sue truppe nel trasferimento da Fiesole ad Arezzo durante la seconda guerra punica. 




   






Indi la valle, come 'l dì fu spento,
da Pratomagno al gran giogo coperse
di nebbia; e 'l ciel di sopra fece intento, 

sì che 'l pregno aere in acqua si converse; 
la pioggia cadde e a' fossati venne
di lei ciò che la terra non sofferse; 
                          Dante. Divina Commedia Purgatorio canto VI. v. 116